mercoledì 8 ottobre 2014

Invictus

Dal profondo della notte che mi avvolge,
Nera come un pozzo da un polo all'altro,
Ringrazio qualunque dio esista
Per la mia anima invincibile.

Nella feroce morsa delle circostanze
Non ho arretrato né gridato.
Sotto i colpi d’ascia della sorte
Il mio capo è sanguinante, ma non chino.

Oltre questo luogo d'ira e lacrime
Incombe il solo Orrore delle ombre,
E ancora la minaccia degli anni
Mi trova e mi troverà senza paura.

Non importa quanto stretto sia il passaggio,
Quanto piena di castighi la vita,
Io sono il padrone del mio destino:
Io sono il capitano della mia anima.


William Ernest Henley

domenica 5 ottobre 2014

Alda Merini

Sono nata il ventuno a primavera,
ma non sapevo che nascere folle,
aprire le zolle
potesse scatenar tempesta.
Così Proserpina lieve
vede piovere sulle erbe,
sui grossi frumenti gentili
e piange sempre la sera.
Forse è la sua preghiera.


Dal volume "Vuoto d'amore"  © 1991 Giulio Einaudi Editore S.p.A. - Torino


Tutti i diritti delle opere della poetessa Alda Merini sono trattati da
Agenzia Letteraria Internazionale, Milano - Italia







sabato 27 settembre 2014

El farol

Mi abuela te espera cada día
Deja prendida para ti una luz
Al fondo de la noche.
 
Mi abuela pregunta cuándo llegas,
Cuándo te vas, si estás entero.
 
Mi abuela hace sitio en la mesa
Y se queda esperando,
Mece los sueños en el sofá,
Hasta que le aviso que ya es
Hora de dormir.
 
Quién tuviera su fe en tu regreso
cada noche, su no saber,
La suprema ventaja de la desmemoria.


Tutti i diritti riservati - La esquina de Lilith  [http://eskinalilith.wordpress.com/]

Marianao - Oriental Park

L'Havana-American Jockey Club "Oriental Park", ovvero l'ippodromo più famoso dell'Avana, fu inaugurato il 14 febbraio 1915, nel quartiere Los Quemados, del municipio di Marianao, nelle immediate vicinanze dell'allora Calzada de San Francisco, oggi calle 100, precisamente calle 108 e 63.
Tra i fondatori e primi presidenti ci furono, John McEntee Bowman, proprietario del Westchester Country Club di Rye, New York e presidente della Bowman-Biltimore Hotel Corporation, a quei tempi proprietaria anche dell'Hotel Sevilla dell'Avana, e Harry D. "Curly" Brown, uomo d'affari, allevatore di cavalli da corse e comproprietario anche degli ippodromi Arlington Park di Chicago, Tia Juana di Tijuana, Messico, e del Laurel Park di Baltimore, Maryland.
L'ippodromo fu definito tra i "migliori delle Americhe" e sicuramente fu il preferito delle scuderie nordamericane che, nei mesi invernali, portavano i purosangue a svernare, approfittando delle miti temperature di Cuba.
L'Oriental Park non fu scenario solo di corse di cavalli, ospitò il campionato di baseball cubano 1915/16 e numerosi incontri di pugilato. Tra i più noti c'è, sicuramente, quello tra l'afroamericano Arthur John "Jack" Johnson, campione dei pesi massimi, e lo sfidante bianco Jess Willard. L'incontro, che si svolse il 5 aprile 1915 davanti a 30mila spettatori, fu vinto da Willard che, al round 26, con un destro, fulminò Johnson. Il giornalista cubano Ciro Bianchi Ross ci svela, però, un retroscena: Johnson aveva venduto l’incontro per la favolosa somma di 30mila dollari.
Il Jockey Club Oriental Park disponeva anche di un lussuoso ristorante, dove si esibivano dal vivo gli artisti più in voga del momento.
La mafia italo-americana, con Meyer Lansky, alla fine degli anni '30 ancora luogotenente di Lucky Luciano, prese il controllo della struttura, come ci racconta lo storico inglese Robert Lacey, nel suo libro "Little Man: Meyer Lansky and the Gangster Life".
Il proprietario, ufficialmente, era il deputato Indalecio Pertierra, che inoltre controllava il Cabaret Montmartre del Vedado, come scrive la giornalista Katherine Hirschfeld, nel suo libro “Health, Politics, and Revolution in Cuba Since 1898”, «Meyer Lansky e i suoi subordinati controllavano i casinò del Jockey Club e del Cabaret Montmartre insieme a cubani come il parlamentare Indalecio Pertierra». Lo stesso Pertierra aveva ricevuto da Lucky Luciano e Frank Costello - svela la giornalista - una tangente di 50mila dollari per il controllo del casinò dell'Hotel Presidente.
E sempre Pertierra che, dopo un fallito attentato a Lucky Luciano nel dicembre del 1946, ottenne che la Polizia del Palazzo Presidenziale assegnasse al capo di tutti i capi due guardaspalle.
Lo scrittore cubano Enrique Cirules, raccogliendo l'inedita testimonianza di un collaboratore di Lansky, ci racconta nel suo "La vida secreta de Meyer Lansky en la Habana", che l'ormai indiscusso re della mafia a Cuba, era solito pranzare al ristorante del Jockey Club dell'Oriental Park.

Tutti i diritti riservati - Pensieri Avaneri di Stefano Pasqualon  [http://avaneri.blogspot.it/]

Mantua - origini italiane

Una storia di secoli, dall’estremo occidente cubano ai giorni nostri.
La fondazione della cittadina di Mantua, avvenuta nella metà del XVII secolo, sarebbe attribuibile ad insediamenti di marinai italiani. Le ricerche effettuate per raccogliere prove sui presunti naufraghi che si insediarono durante l’epoca coloniale, così come confermato dallo storiografo Pedro Luis Hernández, sarebbe compatibile con la tradizione orale del luogo e con le testimonianze che, per generazioni, hanno dichiarato la presenza italiana in queste zone (che corrispondono alla provincia di Pinar del Rio).
Secondo tradizione, l’origine di Mantua sarebbe quindi attribuibile alla presenza di marinai italiani naufragati, che giunsero sulle coste del nordovest cubano dopo aver perso la loro nave. Tra le prove esistenti in merito si possono citare antiche iscrizioni (scoperte nel libro parrocchiale) e la venerazione della cosiddetta “Vergine delle Nevi”, (culto che appartiene alla tradizione italiana originaria nella Basilica di Santa Maria Maggiore, prima e più antica chiesta di Roma e di Mantova; e che a Cuba risulta usanza esclusiva di questa zona). Attualmente, la cittadina di Mantua è uno degli 11 municipi di Pinar del Río (provincia famosa nel mondo per l’eccellenza del suo tabacco).
Secondo lo storiografo Hernández, prove dell’originario insediamento italiano sarebbero presenti anche a Minas de Matahambre (zona nota per l’abbondanza di minerali che possiede giacimenti a cielo aperto e sotterranei). Le ricerche hanno infatti messo in evidenza la presenza di italiani nelle piantagioni di caffè della Sierra del Rosario (1793-1804), create dopo la rivoluzione di Haiti.
Parzialmente distrutte, queste piantagioni hanno lasciato la loro impronta nell’ambiente architettonico e culturale della regione (che apparteneva alla vecchia provincia di Artemisia).

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giovedì 11 settembre 2014

Gualtiero Menoni - appunto



Di Cuba e della sua terra rossa e del suo Popolo lui, Gualtiero Menoni, ne raccontava di tanto e bene perché amava veramente quel Paese. C’era ancora Fulgencio Batista quando iniziò a compiere i suoi primi viaggi e poi altri ancora, dopo la rivoluzione, fino alla decisione nell’anno 1981 di proporre la Bodeguita del Medio di calle Empedrado, a La Habana Vieja, nella sua Milano.
Era un uomo, un “signore” d’altri tempi, come adesso è difficile, se non rarissimo, trovarne di altri. Generoso d’animo, garbato nei movimenti e nel dialogo sempre sereno ed espressivo, di buon ingegno e fantasia, aveva umiltà e sapeva ascoltare, comunista, meglio, pareva interpretare come sue le parole che il Comandante Ernesto Guevara ha lasciato quale testamento ai suoi figli Hildita, Aleidita, Camilo, Celia ed Ernesto: “Sobre todo, sean siempre capaces de sentir en lo más hondo cualquier injusticia cometida contra cualquiera en cualquier parte del mundo. Es la cualidad más linda de un revolucionario.”
Nella mattinata, verso le dieci all’incirca, era solito uscire dal portone della casa di via Col di Lana: alzava la testa al cielo, in modo strano, come per vedere che “tempo buttava” e come chi, bella o brutta fosse stata la giornata, era comunque determinato a sbrigare tutte le sue faccende.
Dice la storia, correva l’anno 1780, che in un albeggiare nitido da una “vista” sopra la Gran Piedra nel cuore della Sierra Maestra, poco distante dalla città di Santiago de Cuba, Sebastián Kindelán O’Reagan, colonnello e cavaliere dell’Ordine di Santiago e governatore del Distretto Orientale di Cuba, e l’emigrato francese Prudencio Cassimajor, quest’ultimo sfuggito agli sconvolgimenti accaduti sull’isola di Haiti, espressero il sogno, poi diventato realtà, di rendere fertile per la produzione del caffè la maggior parte dei terreni delle montagne orientali.
Dice ancora la storia, correva l’anno 1860, che con Facundo Bacardí y Mazó iniziò il segreto, tramandato da padre in figlio, del “ron” più famoso al mondo. Ma Alfonsito Matamoros e Mariano Lavigne, addetti alla produzione tra i pochi che potevano entrare nella camera della “mezcla” e che sapevano anche dei componenti “l’essenza”, affermavano più semplicemente che, oltre al “taglio” con “ron” invecchiato lunghissimi anni, il metodo sta in una buona acquavite e che l’acquavite dipende da una buona melassa e a tale proposito la “miel” dello zuccherificio Algodonales è la migliore.
La Bodeguita del Medio di Milano è ciò che è stato il sogno di un uomo, Gualtiero Menoni, il segreto: la passione e la voglia di dare un senso alla vita, costruendo. A partire dalla quotidianità, dagli affetti, dall’esperienza umana che ti trasmettono, dal talento e dal sapere, dalle cose in cui si crede, dalle cose e dalle persone che si amano, dai valori per cui si è disposti a sacrificare qualcosa.
Gualtiero Menoni sarà sempre lì, seduto al tavolo delle “donne” di Gauguin, sotto la palma reale, ad accogliere la sua gente, la gente della Bodeguita del Medio che lo ricorderà “para siempre”.



Nell’aprile 1999, Gualtiero Menoni scrisse:
Mani fraterne, da un orizzonte all’altro, unite nello spirito.





Prima stesura 9 aprile 2000


Proprietà letteraria riservata - © by Roberto Dalzoppo




























mercoledì 10 settembre 2014

Globalizzazione e fine millennio

Il testo qui riportato è stato scritto nel maggio dell'anno 1997,  estrapolato da uno studio di fattibilità da me curato e terminato con l'ultima definitiva stesura il 7 agosto 1998.

Nel mondo stiamo assistendo alla globalizzazione dell'economia, nella vecchia Europa allo sforzo, non sempre prodotto con entusiasmo e convinzione, di regolamentare la produzione e gli scambi, di far nascere la moneta unica spendibile in Italia, in Francia, in Germania possibilmente con la medesima capacità di acquisto.
Da un lato le volontà politiche degli Stati di unire, concordanti con le grandi imprese, dall'altro microeconomie indipendenti sulla scia di partiti ed ideologie che rivendicano le loro entità regionali, etniche e religiose. Questo in Europa, ma altrettanto avviene in altre parti del mondo.
E, sempre generalizzando, a me pare che le grandi ideologie politiche si sono raffreddate un poco dovunque ed hanno lasciato il posto ai movimenti religiosi, con punte di fanatismo estremo in alcuni paesi.
Che la globalizzazione dell'economia prenda corpo giorno dopo giorno è un dato più che certo.
Senza dubbio ha avuto un ruolo importante in tutto questo la tecnologia gestionale, gli ultimi sofisticatissimi mezzi di comunicazione, la ricerca che vede collaborare le holding industriali nei centri comuni sfruttati a 360 gradi. E' questo valore aggiunto, che si rivaluta di giorno in giorno, che mantiene il predominio di alcuni governi su altri paesi nel mondo, in altri tempi si diceva il monopolio di settori merceologici ben precisi, punti chiave per lo sviluppo ed il benessere di una popolazione.
Ed è per questo che alcuni non vedono di buon occhio la globalità di un sistema economico altamente competitivo, dove prodotti agricoli di paesi poveri, ad esempio,  poco importano allorquando non c'è anche ricchezza nel loro sottosuolo e, a tutela dell'ambiente, è vietata la possibilità di allestire infrastrutture industriali con un tasso alto di inquinamento, vedi i cicli di finissaggio nell'industria tessile o la produzione di sostanze chimiche dannose alla vita animale e vegetale.
Per queste popolazioni sarà sempre più difficoltoso competere nell'economia mondiale, al loro interno la povertà sarà altrettanto difficile che raggiunga livelli accettabili per tutti gli abitanti.
Grandi sacche sono e rimarranno a ridosso delle megalopoli, un flusso di migrazione interna verso le città che continua ancora senza interruzione soprattutto nei periodi primaverili, in concomitanza con il risveglio nell'animo di una speranza illimitata di trovare una migliore situazione di vita.
Tornando alla nostra Europa, era la speranza di un lavoro migliore per i figli che faceva nascere nei nostri padri la convinzione che un diploma, una laurea potessero tornare utili nel mondo del lavoro. Ed i sacrifici per lo studio erano ben condivisi in famiglia.
In Italia stiamo assistendo al ridimensionamento delle fasce sociali: alcune imprese preferiscono occupare manodopera meno cara, smantellano e costruiscono nuovi stabilimenti nell'est europeo. Cresce la disoccupazione ed il disagio sociale. E' però altrettanto vero che regioni italiane stanno vivendo un trend positivo. Nel dato globale assorbono comunque in numero inferiore rispetto alle unità lavorative che vengono dismesse. Sono società prettamente condotte dalla proprietà e danno un apporto significativo alla crescita del paese, sia dal punto di vista di conoscenze lavorative avanzate che della bilancia commerciale e del ricavato fiscale.
Il ricco rimane ricco, il povero rimane comunque povero ed è la fascia intermedia che va ridimensionandosi verso il basso. Perché, fermo restando la disoccupazione, anche la remunerazione del risparmio è meno allettante e stiamo assistendo all'impoverimento del reddito di risparmio delle famiglie in generale. Il sistema creditizio ha un enorme flusso  di liquidità non allocata in funzione dei finanziamenti, deve negoziarla al tasso della lira interbancaria e parimenti eroga interessi creditori in linea con il mercato molto meno interessanti rispetto a due, tre anni fa. A breve, il risparmiatore investirà parte del suo denaro nelle borse valori e nei fondi comuni, con l'augurio di avere accortezza di vendere e realizzare prima che il trend positivo si inverta, perché prima o poi capiterà così.
La disoccupazione prettamente si verifica nelle industrie, ne rimane influenzato anche il terziario, la subfornitura, le società di servizi in generale. La campagna vive a volte momenti di travaglio per alcune raccolte o produzioni, ma sostanzialmente la tecnologia sempre più presente nei vari settori agricoli già da diversi anni ha ridimensionato il lavoro contadino e le fughe dalla terra di qualche decennio fa. Lavorare i campi rimane tuttora un bel sacrificio che vede alzarsi presto la mattina e tornare tardi la sera, soprattutto nei periodi estivi, ma se vogliamo i rischi del cattivo raccolto sono diminuiti e certe agevolazioni statali hanno dato ossigeno alle famiglie delle cascine. Nel prosieguo, l'agricoltura vincente sarà quella in grado di mettere sul mercato prodotti tipici ed in larga scala, qualitativamente eccellenti ed a basso costo. Non sarà esclusa in questa prima fase di ridistribuzione dei mercati agricoli e dell'allevamento (compresa la produzione del vino e del latte) la conflittualità tra i Paesi della Comunità Europea.
Senza volere scrivere profezie o quant'altro, stiamo adesso vivendo un periodo di transizione nell'ambito del lavoro, della vita sociale soprattutto fra giovani, della cultura, dei mezzi di comunicazione, della scolarizzazione e dell'insegnamento, delle ricerche scientifiche, della medicina ed in modo particolare della prevenzione e delle cure mediche nonché delle tecniche operative sull'uomo.
In Italia non siamo ancora giunti al punto che si possa dare le dimissioni dal posto di lavoro al nord per un impiego al sud o viceversa, come si usa in America da costa a costa. La mobilità ed il lavoro interinale sono comunque più attuali che mai, e sempre più se ne parla. Ed altrettanto è vero che quest'ultimo non può essere applicato, al momento, a tutte le categorie; dopotutto parlarne troppo potrebbe essere quasi una eresia in un paese con un tasso di disoccupazione molto elevato. I flussi immigratori di clandestini, secondo il mio parere, rendono poi ancora più approssimativa una corretta valutazione del fenomeno.
E' però assodato che molta disoccupazione, ben delineata in determinate zone del paese ed aree cittadine, crea ed alleva le associazioni dedite al crimine occasionale od organizzato a strutturarsi nel territorio. Da qui la differenza fra zone con una occupazione abbastanza stabile e zone con forte numero di disoccupati. Un diverso benessere, una diversa impostazione del vivere quotidiano, un modo più e meno sereno di rapportarsi con i propri simili.
Non dimentichiamo anche il lavoro sommerso e le sue conseguenze per il regime occupazionale e previdenziale delle unità impiegate e l'evasione a discapito di tutta la collettività. Al nord però il lavoro nero non ha, quasi mai, carattere di pura sopravvivenza, al sud resta, quasi sempre, l'unica fonte di reddito per intere famiglie. D'altro canto, se non ci fosse una quota così diffusa di lavoro nero ci sarebbero esplosioni sociali pesantissime. All'onore del vero tante persone nel meridione d'Italia hanno dimostrato, in condizioni di oggettiva difficoltà, di saper essere imprenditori; creandosi i giusti presupposti, potrà esserci una crescita ed una convergenza verso misure legalitarie.
La differenza tra cittadini e sudditi è che i primi sanno che il loro futuro se lo devono fabbricare anche con le loro stesse mani, e ci sono abituati perché non hanno mai avuto uno stato elargitore di favoritismi ed addirittura non lo desiderano, essendo uomini liberi ed intraprendenti.
Ci aspettano periodi di sacrifici volti a risanare il debito pubblico altissimo, forse il più grande a carico di un paese europeo. Sacrifici che tutti dovranno condividere, direttamente o indirettamente, accorgendosene poi quando il reddito pro capite diminuirà. Ed il lavoro offerto dal nostro paese sarà insufficiente per determinare esigenze individuali e familiari. Comunque non si assisterà a fenomeni emigratori come negli anni che videro molti italiani partire per le Americhe, né, a mio avviso, a migrazioni interne per occupare posti di lavoro distribuiti prettamente al nord est dell'Italia; fermo restando che, come annotato già, ancora oggi molti, giovani e meno giovani, intraprendono di buon'ora viaggi verso la Germania dalla Sicilia, dalla Puglia.
La famiglia tende ad ammortizzare questo fenomeno, il tessuto sociale forse più ricettivo per alcuni versi rispetto a dieci, vent'anni fa dà opportunità di sostentamento per brevi e ripetitivi intervalli di tempo.
La rabbia del '68 "quella della fabbrica, della scuola" non si ravviva più, di questi tempi. L'arte dell'arrangiarsi e del sopravvivere alla meno peggio è costantemente presente, così l'egoismo è all'ordine del giorno come la prepotenza, l'essere i più furbi. Tutto questo porta però ad una disconnessione continua, all'indebolimento di un ambiente culturale già di per se individualista, alla possibile frammentazione in tante mode puramente formali dei valori giovanili fondamentali soprattutto dal punto di vista culturale di base ed etico-comportamentale. Con la probabilità che la "piazza", in varie città del mondo, ma soprattutto in quelle dei paesi maggiormente industrializzati, possa essere teatro di "scontri rivoltosi" tra giovani e polizia.
Le industrie vanno avanti, meglio andranno avanti, se al timone ci sono uomini (donne) che sanno dialogare con l'operaio, che sanno dialogare con il tecnico, che sanno ricercare nuovi mercati, che hanno a cuore la fabbrica, la produzione ed il suo miglioramento, i dipendenti e le loro condizioni di lavoro, di sicurezza, la tutela del posto, la buona remunerazione. Dove sono questi vecchi padroni che alla morte del bravo operaio non lasciavano a casa il giovane figlio, ma lo convocavano in fabbrica. Bene, proprio come il padre, ed il giorno dopo subito al lavoro. Altri tempi, altri metodi. Certo il prezzo della materia prima non cambiava in brevissimo tempo, e la merce non creava problemi se rimaneva stoccata per un mese o due; oggi tutto è diverso: i piani quinquennali, la lentezza decisionale sono fuori luogo, basta ricordare la "Grande Russia", la sua disfatta, la disfatta del "comunismo statico, burocratico".
Così nel mondo stiamo osservando la ricomposizione di una nuova mappa socioeconomica, con paesi poveri e poverissimi, ricchi e di fascia media. L'esodo di popolazioni verso continenti con migliore tenore di vita. Grandi potenzialità di sviluppo per alcune nazioni, come quella cinese. Ed il 2000 alle porte riserverà senz'altro nuove configurazioni geopolitiche, magari anche nuovi conflitti che vedranno coinvolti paesi di differenti continenti. Comunque grandi prospettive ed altrettante sorprese.
Come il fantasma della povertà che sta tornando in Occidente. Evocata dal colonialismo e mossa dal crollo del comunismo, la povertà del mondo ha lentamente cominciato a muoversi, soprattutto da sud verso nord.
Per contro, attirata da masse enormi di manodopera a basso costo, da spazi sconfinati di mercato potenziale, da speculazioni finanziarie possibili su scale di opportunità quasi illimitate, la ricchezza dell'Occidente ha cominciato a migrare, entrando progressivamente nella repubblica internazionale del denaro, apolide ed irresponsabile. I capitali, smaterializzati, si muovono e si moltiplicano, in forme virtuali e parossistiche, all'interno di una rete mondiale di computer in cui si trattano milioni di milioni di dollari ogni giorno. Così l'Occidente importa povertà, esporta ricchezza. La causa dell'impoverimento non sono tanto i poveri, che immigrano in Occidente, ma i capitali che migrano fuori dall'Occidente per essere investiti dove la manodopera è  a basso costo, o per restare impigliati nella rete finanziaria, alimentando il circuito della speculazione improduttiva. Così operata, la migrazione mondiale dei capitali inasprisce il contrasto sociale: al conflitto tra operai e robot (la macchina ruba lavoro) si aggiunge infatti il conflitto tra operaio occidentale, la declinante aristocrazia operaia, e l'operaio delle regioni emergenti, il nuovo proletariato coccolato dagli industriali fautori della "benvenuta globalizzazione". La disoccupazione e l'impoverimento dei salari occidentali sono in specie prodotti da una coppia di fattori apparentemente imbattibili: automazione più internazionalizzazione. Mai come ora la classe operaia è stata internazionale: la concorrenza salariale nel mondo, effetto della nuova geopolitica della ricchezza, tende infatti ad azzerare, con le distanze geografiche, i differenziali remunerativi. Così che quel che resta delle masse operaie ed impiegatizie dell'Occidente viene stretto nella morsa tra salario "orientale" e costo della "vita occidentale". I salari occidentali tendono a livellarsi verso il basso, sul parametro di quelli orientali ma tutto il resto: costo della casa, degli alimenti, l'onere delle imposte, eccetera, resta occidentale.
Contro questo processo di impoverimento gli Stati dell'Occidente possono fare sempre meno. Il circuito mondiale trasporta infatti, nel fiume di una ricchezza finanziaria sempre più determinante, le macerie della socialdemocrazia. L'acido finanziario erode le basi della sovranità e del potere degli "stati nazione", normative e leggi sono sempre più influenzate e dettate dai mercati, sempre meno decise dai parlamenti nazionali. La perdita di sovranità economica causa poi a cascata la fine della politica. In specie, in assenza di stato si "trovano bene" soprattutto i ricchi. Se invece si avesse una concezione diversa della politica, non egoistica e non apatica dell'impegno civile,  si potrebbe e dovrebbe reagire. A partire, questo è solo un esempio, dalla formazione di quella che una volta si chiamava forza lavoro, per incrementare il valore e le possibilità di occupazione. Come i figli degli imprenditori imparano in casa come si fa impresa, o i figli di chi ha possibilità economiche hanno ampie soluzioni per l'utilizzo di strumenti informatici e di andare all'estero per imparare le lingue, così "tutti" devono avere pari opportunità di apprendere. E' soprattutto in questi termini che può essere operata una vera ridistribuzione della ricchezza. In aggiunta, vorrei annotare che  un mezzo  importante per fare comunicazione con tecniche sistemiche e di massa, efficaci per diffondere conoscenze, è la "televisione" finalizzata per l'appunto a far circolare e ridistribuire ricchezza in forma di cultura, fattore questo essenziale per l'incremento del valore del capitale umano.
Incrementare significa anche cambiare, e se nel cambiamento è insito un brandello di positività, nel voler costruire un cambiamento con parametri equilibrati e tanta buona volontà, il brandello può diventare un pezzo importante nel mosaico della propria esperienza professionale e della propria vita.




A tutti gli uomini (e le donne) che hanno
cercato una strada alternativa, ed hanno
resistito sino alla fine.
Ai bambini poveri e malati della Bolivia e
dell'Angola.




Proprietà letteraria riservata
© by Roberto Dalzoppo



 
 

lunedì 8 settembre 2014

L'equazione di Black - Scholes


Dopo la laurea in fisica ad Harvard, Fisher Black si era specializzato in matematica applicata. Nel 1965 aveva però lasciato l'ambiente accademico per entrare in un'importante società di consulenza a Boston, attratto da problemi ancora più concreti e dalla possibilità di ottenere risultati spendibili immediatamente. E' qui che comincia a porre attenzione sul problema della valutazione delle operazioni finanziarie a rischio. Elabora anche una certa equazione differenziale, lasciandola però nel cassetto. Durante lo stesso periodo di tempo arriva al MIT, per insegnare finanza, un giovane economista canadese che si era specializzato a Chicago, il suo nome: Myran Scholes. I due si incontrano, si piacciono ed intendono ed elaborano così il loro modello: l'equazione di Black e Scholes. Modello basato sull'idea che la valutazione di un contratto dipenda unicamente dai termini del contratto e dalla volatilità del titolo sottostante. L'esordio non è facile, anche perché Black non è un accademico. A principio, il Journal of Political Economy e la Review of Economics and Statistics rifiutano il loro articolo. Verrà pubblicato nel 1973, allorquando a Chicago si permette che le opzioni siano scambiate in Borsa, mettendo così fine al mercato non ufficiale. Per i due economisti nord-americani arriva il successo, favorito dalla relativa semplicità della loro formula, dalla sua maneggevolezza e anche dai problemi posti dalle turbolenze finanziarie degli anni '70. Nel 1997, per la loro teoria sul prezzo delle opzioni Scholes vincerà il premio Nobel per l'Economia assieme a Robert C. Merton con cui aveva cominciato a collaborare quando questi era ancora uno studente di economia al MIT. Black era scomparso già due anni prima, per un tumore alla gola. Non è neppure privo di significato che la Texas Instruments inizi a pubblicizzare le sue calcolatrici, presentandole come lo strumento più adatto per applicare numericamente la formula di Black e Scholes. Stiamo parlando di un'equazione differenziale alle derivate parziali, non stocastica e pertanto risolvibile con le usuali tecniche di calcolo. Tra le ipotesi che permettono la costruzione del modello c'è quella che il prezzo dell'opzione e del sottostante siano influenzati dalla stessa fonte di incertezza e che, con un appropriato portafogli di azioni e di opzioni, si riesca a compensare la variabilità del prezzo delle prime con la variabilità del prezzo delle opzioni. “ L'equazione di Black e Scholes - osserva E. Castagnoli della Università Bocconi - ha diffuso nel mondo della finanza quel cambiamento di prospettiva che i teorici avevano già compreso con l'approccio soggettivista. Non si parte da una probabilità valutata in base alle serie storiche per arrivare a prezzi considerati equi bensì dai prezzi, osservati sul mercato, per desumerne la probabilità ”.
In questa storia è coinvolto anche un giapponese: il matematico Kiyosi Ito che, nell’anno 1944, estese l'integrale stocastico di Wiener. Naturalmente il matematico giapponese poteva pensare a tutto, fuorché al fatto che il suo integrale, tramite i cosiddetti processi di Ito e il lemma che porta sempre il suo nome, sarebbe stato qualche decennio dopo uno dei mattoni più rilevanti per la costruzione del modello di Black e Scholes. L'equazione del 1973 costituisce comunque solo l'avvio delle indagini più recenti, talora critiche nei confronti dell'impostazione seguita da Black e Scholes. I loro assunti base sono spesso contraddetti dalla pratica e da distorsioni persistenti, rendendo così necessaria l'introduzione di altri modelli che tengano conto dell'irrazionalità degli operatori e meglio riflettano la realtà del mercato. Questi modelli, più coerenti con il tipico comportamento degli investitori, producono distribuzioni “ a code grasse” simili a quelle osservate empiricamente. La maggior parte basata “ sull'assunto che il rendimento del titolo segua un processo di moto browniano con incrementi indipendenti a distribuzione normale. Purtroppo – annota ancora Marco Papi, ricercatore al Campus bio-medico di Roma e coordinatore del progetto denominato Advanced Mathematical Methods for Finance - così non si riescono ancora a cogliere aspetti cruciali quali la possibilità di crolli del mercato o di rendimenti straordinari”.
Roberto Dalzoppo