Dopo la laurea in fisica ad
Harvard, Fisher Black si era specializzato in matematica applicata. Nel 1965
aveva però lasciato l'ambiente accademico per entrare in un'importante società
di consulenza a Boston, attratto da problemi ancora più concreti e dalla
possibilità di ottenere risultati spendibili immediatamente. E' qui che
comincia a porre attenzione sul problema della valutazione delle operazioni
finanziarie a rischio. Elabora anche una certa equazione differenziale,
lasciandola però nel cassetto. Durante lo stesso periodo di tempo arriva al
MIT, per insegnare finanza, un giovane economista canadese che si era
specializzato a Chicago, il suo nome: Myran Scholes. I due si incontrano, si
piacciono ed intendono ed elaborano così il loro modello: l'equazione di Black
e Scholes. Modello basato sull'idea che la valutazione di un contratto dipenda
unicamente dai termini del contratto e dalla volatilità del titolo sottostante.
L'esordio non è facile, anche perché Black non è un accademico. A principio, il
Journal of Political Economy e la Review of Economics and
Statistics rifiutano il loro articolo. Verrà pubblicato nel 1973,
allorquando a Chicago si permette che le opzioni siano scambiate in Borsa,
mettendo così fine al mercato non ufficiale. Per i due economisti nord-americani
arriva il successo, favorito dalla relativa semplicità della loro formula,
dalla sua maneggevolezza e anche dai problemi posti dalle turbolenze
finanziarie degli anni '70. Nel 1997, per la loro teoria sul prezzo delle
opzioni Scholes vincerà il premio Nobel per l'Economia assieme a Robert C.
Merton con cui aveva cominciato a collaborare quando questi era ancora uno
studente di economia al MIT. Black era scomparso già due anni prima, per un tumore
alla gola. Non è neppure privo di significato che la Texas Instruments inizi
a pubblicizzare le sue calcolatrici, presentandole come lo strumento più adatto
per applicare numericamente la formula di Black e Scholes. Stiamo parlando di
un'equazione differenziale alle derivate parziali, non stocastica e pertanto
risolvibile con le usuali tecniche di calcolo. Tra le ipotesi che permettono la
costruzione del modello c'è quella che il prezzo dell'opzione e del sottostante
siano influenzati dalla stessa fonte di incertezza e che, con un appropriato
portafogli di azioni e di opzioni, si riesca a compensare la variabilità del
prezzo delle prime con la variabilità del prezzo delle opzioni. “ L'equazione
di Black e Scholes - osserva E. Castagnoli della Università Bocconi - ha
diffuso nel mondo della finanza quel cambiamento di prospettiva che i teorici
avevano già compreso con l'approccio soggettivista. Non si parte da una
probabilità valutata in base alle serie storiche per arrivare a prezzi
considerati equi bensì dai prezzi, osservati sul mercato, per desumerne la
probabilità ”.
In questa storia è coinvolto anche un giapponese: il matematico Kiyosi Ito che, nell’anno 1944, estese l'integrale stocastico di Wiener. Naturalmente il matematico giapponese poteva pensare a tutto, fuorché al fatto che il suo integrale, tramite i cosiddetti processi di Ito e il lemma che porta sempre il suo nome, sarebbe stato qualche decennio dopo uno dei mattoni più rilevanti per la costruzione del modello di Black e Scholes. L'equazione del 1973 costituisce comunque solo l'avvio delle indagini più recenti, talora critiche nei confronti dell'impostazione seguita da Black e Scholes. I loro assunti base sono spesso contraddetti dalla pratica e da distorsioni persistenti, rendendo così necessaria l'introduzione di altri modelli che tengano conto dell'irrazionalità degli operatori e meglio riflettano la realtà del mercato. Questi modelli, più coerenti con il tipico comportamento degli investitori, producono distribuzioni “ a code grasse” simili a quelle osservate empiricamente. La maggior parte basata “ sull'assunto che il rendimento del titolo segua un processo di moto browniano con incrementi indipendenti a distribuzione normale. Purtroppo – annota ancora Marco Papi, ricercatore al Campus bio-medico di Roma e coordinatore del progetto denominato Advanced Mathematical Methods for Finance - così non si riescono ancora a cogliere aspetti cruciali quali la possibilità di crolli del mercato o di rendimenti straordinari”.
In questa storia è coinvolto anche un giapponese: il matematico Kiyosi Ito che, nell’anno 1944, estese l'integrale stocastico di Wiener. Naturalmente il matematico giapponese poteva pensare a tutto, fuorché al fatto che il suo integrale, tramite i cosiddetti processi di Ito e il lemma che porta sempre il suo nome, sarebbe stato qualche decennio dopo uno dei mattoni più rilevanti per la costruzione del modello di Black e Scholes. L'equazione del 1973 costituisce comunque solo l'avvio delle indagini più recenti, talora critiche nei confronti dell'impostazione seguita da Black e Scholes. I loro assunti base sono spesso contraddetti dalla pratica e da distorsioni persistenti, rendendo così necessaria l'introduzione di altri modelli che tengano conto dell'irrazionalità degli operatori e meglio riflettano la realtà del mercato. Questi modelli, più coerenti con il tipico comportamento degli investitori, producono distribuzioni “ a code grasse” simili a quelle osservate empiricamente. La maggior parte basata “ sull'assunto che il rendimento del titolo segua un processo di moto browniano con incrementi indipendenti a distribuzione normale. Purtroppo – annota ancora Marco Papi, ricercatore al Campus bio-medico di Roma e coordinatore del progetto denominato Advanced Mathematical Methods for Finance - così non si riescono ancora a cogliere aspetti cruciali quali la possibilità di crolli del mercato o di rendimenti straordinari”.
Roberto Dalzoppo