mercoledì 10 settembre 2014

Globalizzazione e fine millennio

Il testo qui riportato è stato scritto nel maggio dell'anno 1997,  estrapolato da uno studio di fattibilità da me curato e terminato con l'ultima definitiva stesura il 7 agosto 1998.

Nel mondo stiamo assistendo alla globalizzazione dell'economia, nella vecchia Europa allo sforzo, non sempre prodotto con entusiasmo e convinzione, di regolamentare la produzione e gli scambi, di far nascere la moneta unica spendibile in Italia, in Francia, in Germania possibilmente con la medesima capacità di acquisto.
Da un lato le volontà politiche degli Stati di unire, concordanti con le grandi imprese, dall'altro microeconomie indipendenti sulla scia di partiti ed ideologie che rivendicano le loro entità regionali, etniche e religiose. Questo in Europa, ma altrettanto avviene in altre parti del mondo.
E, sempre generalizzando, a me pare che le grandi ideologie politiche si sono raffreddate un poco dovunque ed hanno lasciato il posto ai movimenti religiosi, con punte di fanatismo estremo in alcuni paesi.
Che la globalizzazione dell'economia prenda corpo giorno dopo giorno è un dato più che certo.
Senza dubbio ha avuto un ruolo importante in tutto questo la tecnologia gestionale, gli ultimi sofisticatissimi mezzi di comunicazione, la ricerca che vede collaborare le holding industriali nei centri comuni sfruttati a 360 gradi. E' questo valore aggiunto, che si rivaluta di giorno in giorno, che mantiene il predominio di alcuni governi su altri paesi nel mondo, in altri tempi si diceva il monopolio di settori merceologici ben precisi, punti chiave per lo sviluppo ed il benessere di una popolazione.
Ed è per questo che alcuni non vedono di buon occhio la globalità di un sistema economico altamente competitivo, dove prodotti agricoli di paesi poveri, ad esempio,  poco importano allorquando non c'è anche ricchezza nel loro sottosuolo e, a tutela dell'ambiente, è vietata la possibilità di allestire infrastrutture industriali con un tasso alto di inquinamento, vedi i cicli di finissaggio nell'industria tessile o la produzione di sostanze chimiche dannose alla vita animale e vegetale.
Per queste popolazioni sarà sempre più difficoltoso competere nell'economia mondiale, al loro interno la povertà sarà altrettanto difficile che raggiunga livelli accettabili per tutti gli abitanti.
Grandi sacche sono e rimarranno a ridosso delle megalopoli, un flusso di migrazione interna verso le città che continua ancora senza interruzione soprattutto nei periodi primaverili, in concomitanza con il risveglio nell'animo di una speranza illimitata di trovare una migliore situazione di vita.
Tornando alla nostra Europa, era la speranza di un lavoro migliore per i figli che faceva nascere nei nostri padri la convinzione che un diploma, una laurea potessero tornare utili nel mondo del lavoro. Ed i sacrifici per lo studio erano ben condivisi in famiglia.
In Italia stiamo assistendo al ridimensionamento delle fasce sociali: alcune imprese preferiscono occupare manodopera meno cara, smantellano e costruiscono nuovi stabilimenti nell'est europeo. Cresce la disoccupazione ed il disagio sociale. E' però altrettanto vero che regioni italiane stanno vivendo un trend positivo. Nel dato globale assorbono comunque in numero inferiore rispetto alle unità lavorative che vengono dismesse. Sono società prettamente condotte dalla proprietà e danno un apporto significativo alla crescita del paese, sia dal punto di vista di conoscenze lavorative avanzate che della bilancia commerciale e del ricavato fiscale.
Il ricco rimane ricco, il povero rimane comunque povero ed è la fascia intermedia che va ridimensionandosi verso il basso. Perché, fermo restando la disoccupazione, anche la remunerazione del risparmio è meno allettante e stiamo assistendo all'impoverimento del reddito di risparmio delle famiglie in generale. Il sistema creditizio ha un enorme flusso  di liquidità non allocata in funzione dei finanziamenti, deve negoziarla al tasso della lira interbancaria e parimenti eroga interessi creditori in linea con il mercato molto meno interessanti rispetto a due, tre anni fa. A breve, il risparmiatore investirà parte del suo denaro nelle borse valori e nei fondi comuni, con l'augurio di avere accortezza di vendere e realizzare prima che il trend positivo si inverta, perché prima o poi capiterà così.
La disoccupazione prettamente si verifica nelle industrie, ne rimane influenzato anche il terziario, la subfornitura, le società di servizi in generale. La campagna vive a volte momenti di travaglio per alcune raccolte o produzioni, ma sostanzialmente la tecnologia sempre più presente nei vari settori agricoli già da diversi anni ha ridimensionato il lavoro contadino e le fughe dalla terra di qualche decennio fa. Lavorare i campi rimane tuttora un bel sacrificio che vede alzarsi presto la mattina e tornare tardi la sera, soprattutto nei periodi estivi, ma se vogliamo i rischi del cattivo raccolto sono diminuiti e certe agevolazioni statali hanno dato ossigeno alle famiglie delle cascine. Nel prosieguo, l'agricoltura vincente sarà quella in grado di mettere sul mercato prodotti tipici ed in larga scala, qualitativamente eccellenti ed a basso costo. Non sarà esclusa in questa prima fase di ridistribuzione dei mercati agricoli e dell'allevamento (compresa la produzione del vino e del latte) la conflittualità tra i Paesi della Comunità Europea.
Senza volere scrivere profezie o quant'altro, stiamo adesso vivendo un periodo di transizione nell'ambito del lavoro, della vita sociale soprattutto fra giovani, della cultura, dei mezzi di comunicazione, della scolarizzazione e dell'insegnamento, delle ricerche scientifiche, della medicina ed in modo particolare della prevenzione e delle cure mediche nonché delle tecniche operative sull'uomo.
In Italia non siamo ancora giunti al punto che si possa dare le dimissioni dal posto di lavoro al nord per un impiego al sud o viceversa, come si usa in America da costa a costa. La mobilità ed il lavoro interinale sono comunque più attuali che mai, e sempre più se ne parla. Ed altrettanto è vero che quest'ultimo non può essere applicato, al momento, a tutte le categorie; dopotutto parlarne troppo potrebbe essere quasi una eresia in un paese con un tasso di disoccupazione molto elevato. I flussi immigratori di clandestini, secondo il mio parere, rendono poi ancora più approssimativa una corretta valutazione del fenomeno.
E' però assodato che molta disoccupazione, ben delineata in determinate zone del paese ed aree cittadine, crea ed alleva le associazioni dedite al crimine occasionale od organizzato a strutturarsi nel territorio. Da qui la differenza fra zone con una occupazione abbastanza stabile e zone con forte numero di disoccupati. Un diverso benessere, una diversa impostazione del vivere quotidiano, un modo più e meno sereno di rapportarsi con i propri simili.
Non dimentichiamo anche il lavoro sommerso e le sue conseguenze per il regime occupazionale e previdenziale delle unità impiegate e l'evasione a discapito di tutta la collettività. Al nord però il lavoro nero non ha, quasi mai, carattere di pura sopravvivenza, al sud resta, quasi sempre, l'unica fonte di reddito per intere famiglie. D'altro canto, se non ci fosse una quota così diffusa di lavoro nero ci sarebbero esplosioni sociali pesantissime. All'onore del vero tante persone nel meridione d'Italia hanno dimostrato, in condizioni di oggettiva difficoltà, di saper essere imprenditori; creandosi i giusti presupposti, potrà esserci una crescita ed una convergenza verso misure legalitarie.
La differenza tra cittadini e sudditi è che i primi sanno che il loro futuro se lo devono fabbricare anche con le loro stesse mani, e ci sono abituati perché non hanno mai avuto uno stato elargitore di favoritismi ed addirittura non lo desiderano, essendo uomini liberi ed intraprendenti.
Ci aspettano periodi di sacrifici volti a risanare il debito pubblico altissimo, forse il più grande a carico di un paese europeo. Sacrifici che tutti dovranno condividere, direttamente o indirettamente, accorgendosene poi quando il reddito pro capite diminuirà. Ed il lavoro offerto dal nostro paese sarà insufficiente per determinare esigenze individuali e familiari. Comunque non si assisterà a fenomeni emigratori come negli anni che videro molti italiani partire per le Americhe, né, a mio avviso, a migrazioni interne per occupare posti di lavoro distribuiti prettamente al nord est dell'Italia; fermo restando che, come annotato già, ancora oggi molti, giovani e meno giovani, intraprendono di buon'ora viaggi verso la Germania dalla Sicilia, dalla Puglia.
La famiglia tende ad ammortizzare questo fenomeno, il tessuto sociale forse più ricettivo per alcuni versi rispetto a dieci, vent'anni fa dà opportunità di sostentamento per brevi e ripetitivi intervalli di tempo.
La rabbia del '68 "quella della fabbrica, della scuola" non si ravviva più, di questi tempi. L'arte dell'arrangiarsi e del sopravvivere alla meno peggio è costantemente presente, così l'egoismo è all'ordine del giorno come la prepotenza, l'essere i più furbi. Tutto questo porta però ad una disconnessione continua, all'indebolimento di un ambiente culturale già di per se individualista, alla possibile frammentazione in tante mode puramente formali dei valori giovanili fondamentali soprattutto dal punto di vista culturale di base ed etico-comportamentale. Con la probabilità che la "piazza", in varie città del mondo, ma soprattutto in quelle dei paesi maggiormente industrializzati, possa essere teatro di "scontri rivoltosi" tra giovani e polizia.
Le industrie vanno avanti, meglio andranno avanti, se al timone ci sono uomini (donne) che sanno dialogare con l'operaio, che sanno dialogare con il tecnico, che sanno ricercare nuovi mercati, che hanno a cuore la fabbrica, la produzione ed il suo miglioramento, i dipendenti e le loro condizioni di lavoro, di sicurezza, la tutela del posto, la buona remunerazione. Dove sono questi vecchi padroni che alla morte del bravo operaio non lasciavano a casa il giovane figlio, ma lo convocavano in fabbrica. Bene, proprio come il padre, ed il giorno dopo subito al lavoro. Altri tempi, altri metodi. Certo il prezzo della materia prima non cambiava in brevissimo tempo, e la merce non creava problemi se rimaneva stoccata per un mese o due; oggi tutto è diverso: i piani quinquennali, la lentezza decisionale sono fuori luogo, basta ricordare la "Grande Russia", la sua disfatta, la disfatta del "comunismo statico, burocratico".
Così nel mondo stiamo osservando la ricomposizione di una nuova mappa socioeconomica, con paesi poveri e poverissimi, ricchi e di fascia media. L'esodo di popolazioni verso continenti con migliore tenore di vita. Grandi potenzialità di sviluppo per alcune nazioni, come quella cinese. Ed il 2000 alle porte riserverà senz'altro nuove configurazioni geopolitiche, magari anche nuovi conflitti che vedranno coinvolti paesi di differenti continenti. Comunque grandi prospettive ed altrettante sorprese.
Come il fantasma della povertà che sta tornando in Occidente. Evocata dal colonialismo e mossa dal crollo del comunismo, la povertà del mondo ha lentamente cominciato a muoversi, soprattutto da sud verso nord.
Per contro, attirata da masse enormi di manodopera a basso costo, da spazi sconfinati di mercato potenziale, da speculazioni finanziarie possibili su scale di opportunità quasi illimitate, la ricchezza dell'Occidente ha cominciato a migrare, entrando progressivamente nella repubblica internazionale del denaro, apolide ed irresponsabile. I capitali, smaterializzati, si muovono e si moltiplicano, in forme virtuali e parossistiche, all'interno di una rete mondiale di computer in cui si trattano milioni di milioni di dollari ogni giorno. Così l'Occidente importa povertà, esporta ricchezza. La causa dell'impoverimento non sono tanto i poveri, che immigrano in Occidente, ma i capitali che migrano fuori dall'Occidente per essere investiti dove la manodopera è  a basso costo, o per restare impigliati nella rete finanziaria, alimentando il circuito della speculazione improduttiva. Così operata, la migrazione mondiale dei capitali inasprisce il contrasto sociale: al conflitto tra operai e robot (la macchina ruba lavoro) si aggiunge infatti il conflitto tra operaio occidentale, la declinante aristocrazia operaia, e l'operaio delle regioni emergenti, il nuovo proletariato coccolato dagli industriali fautori della "benvenuta globalizzazione". La disoccupazione e l'impoverimento dei salari occidentali sono in specie prodotti da una coppia di fattori apparentemente imbattibili: automazione più internazionalizzazione. Mai come ora la classe operaia è stata internazionale: la concorrenza salariale nel mondo, effetto della nuova geopolitica della ricchezza, tende infatti ad azzerare, con le distanze geografiche, i differenziali remunerativi. Così che quel che resta delle masse operaie ed impiegatizie dell'Occidente viene stretto nella morsa tra salario "orientale" e costo della "vita occidentale". I salari occidentali tendono a livellarsi verso il basso, sul parametro di quelli orientali ma tutto il resto: costo della casa, degli alimenti, l'onere delle imposte, eccetera, resta occidentale.
Contro questo processo di impoverimento gli Stati dell'Occidente possono fare sempre meno. Il circuito mondiale trasporta infatti, nel fiume di una ricchezza finanziaria sempre più determinante, le macerie della socialdemocrazia. L'acido finanziario erode le basi della sovranità e del potere degli "stati nazione", normative e leggi sono sempre più influenzate e dettate dai mercati, sempre meno decise dai parlamenti nazionali. La perdita di sovranità economica causa poi a cascata la fine della politica. In specie, in assenza di stato si "trovano bene" soprattutto i ricchi. Se invece si avesse una concezione diversa della politica, non egoistica e non apatica dell'impegno civile,  si potrebbe e dovrebbe reagire. A partire, questo è solo un esempio, dalla formazione di quella che una volta si chiamava forza lavoro, per incrementare il valore e le possibilità di occupazione. Come i figli degli imprenditori imparano in casa come si fa impresa, o i figli di chi ha possibilità economiche hanno ampie soluzioni per l'utilizzo di strumenti informatici e di andare all'estero per imparare le lingue, così "tutti" devono avere pari opportunità di apprendere. E' soprattutto in questi termini che può essere operata una vera ridistribuzione della ricchezza. In aggiunta, vorrei annotare che  un mezzo  importante per fare comunicazione con tecniche sistemiche e di massa, efficaci per diffondere conoscenze, è la "televisione" finalizzata per l'appunto a far circolare e ridistribuire ricchezza in forma di cultura, fattore questo essenziale per l'incremento del valore del capitale umano.
Incrementare significa anche cambiare, e se nel cambiamento è insito un brandello di positività, nel voler costruire un cambiamento con parametri equilibrati e tanta buona volontà, il brandello può diventare un pezzo importante nel mosaico della propria esperienza professionale e della propria vita.




A tutti gli uomini (e le donne) che hanno
cercato una strada alternativa, ed hanno
resistito sino alla fine.
Ai bambini poveri e malati della Bolivia e
dell'Angola.




Proprietà letteraria riservata
© by Roberto Dalzoppo